Curare la fobia specifica
La fobia specifica, altrimenti detta fobia semplice, è la più comune della fobie: un disturbo caratterizzato dall’ansia nutrita nei confronti di un oggetto o una situazione ben determinati.
E’ una paura persistente ed eccessiva, a lungo termine irragionevole, tanto che il paziente non sempre sa spiegarne la causa.
Infatti spesso si sente dire che, ad esempio, “chi ha paura del cane è perché è stato morso da piccolo”.
Cause della fobia specifica
Non sempre in realtà l’esordio di una fobia specifica prevede uno spiacevole o traumatico contatto diretto con l’oggetto o la situazione temuta.
Può svilupparsi sulla base dell’associazione tra un evento specifico e la primaria reazione emotiva di paura a quello stesso evento, tale da rendere l’individuo che ne soffre suscettibile ad eventuali future esposizioni alla medesima.
Ma altri fattori eziologici possono essere l’apprendimento indiretto, per cui ad esempio da bambini si è assunta la fobia del genitore avendo tratto l’insegnamento che se il genitore se ne spaventa quello stimolo deve essere pericoloso, oppure anche solo per sentito dire, senza averne fatto alcuna esperienza diretta.
L’ansia può raggiungere persino l’intensità di un vero e proprio terrore nei confronti dello stimolo che la scatena.
Il ritrovarsi innanzi lo stimolo fobico provoca immediatamente una risposta ansiosa, che può quindi anche assumere le caratteristiche di un attacco di panico.
Inoltre può verificarsi non solo in presenza dello stimolo fobico, ma anche solo dall’attesa che quel determinato oggetto o situazione si possa verificare.
Per questi motivi l’individuo che soffre di una fobia specifica tende ad evitare di trovarsi in presenza dello stimolo fobico per quanto, valutandolo egli stesso assurdo e non condiviso dagli altri, possa risentire di imbarazzo e vergogna rispetto agli altri (negli adolescenti anche senso di inadeguatezza e calo dell’autostima).
Ciononostante, la specificità di quanto spaventa l’individuo è tale da non essere sempre un fattore invalidante la sua qualità di vita.
Se pensiamo infatti alla fobia verso i serpenti, è ben difficile incontrarli nella vita quotidiana, sarà sufficiente non andare nei pressi di un rettilario o magari diventerà particolarmente vigile durante un’escursione in montagna, ma nel complesso difficilmente chi ne soffre richiede un percorso psicoterapico.
Diverso è se la fobia per il volo limita ogni estate le mete turistiche da passare al vaglio o se si vive a Milano e si ha fobia per i piccioni.
Di certo, maggiore è la vicinanza e la possibilità di imbattersi nello stimolo fobico, maggiore diviene l’ansia nutrita, sino a sperimentare una vera e propria paura di perdere il controllo o di accusare un conclamato attacco di panico.
L’evitamento come meccanismo di difesa
Infine caratteristica fondamentale è l’evitamento: il paziente fobico evita, anche in anticipo, il contatto con l’oggetto o la situazione temuta.
Tale comportamento, necessario per poter fare diagnosi del disturbo, è anche il fattore di mantenimento principale, insieme ai fattori cognitivi sottostanti.
Rispetto a quest’ultimo aspetto, i pensieri che sottendono il disturbo sono principalmente di due tipologie:
- se da un lato l’individuo crede che l’entrare in contatto con la situazione o l’oggetto fobico gli provocherà un grave danno,
- dall’altro ritiene di non potersi allontanare o fuggire da esso qualora se lo trovino innanzi.
Circa il 10% della popolazione ne è afflitto. Tale disturbo deve essere presente da almeno sei mesi.
Quali possono essere questi oggetti o situazioni fobiche?
Si distinguono cinque classi di fobia specifica:
- nei confronti di animali (zoofobia): tipicamente presente nella popolazione femminile e ad esordio nell’infanzia e/o su base filogenitica (per la sopravvivenza della specie). Tipici esempi sono l’aracnofobia, l’ornitofobia (per gli uccelli), l’ofidiofobia (per i serpenti), l’entomofobia (per gli insetti), la cinofobia (per i cani)
- per ambiente naturale, ad esempio nei confronti dell’acqua o dell’altezza
- fobia del sangue, per le infezioni o ferite (fobia che a differenza di tutte le altre si caratterizza per una risposta vasovagale, ovvero per cui l’individuo ha sintomi di svenimento). Esempi sono la paura di vedere il sangue, la paura di sottoporsi a procedure mediche, di assistere ad un intervento chirurgico o per gli aghi.
- Situazionale, come la fobia per gli spazi chiusi, la paura di volare o di guidare
- Fobia di altro tipo, non rientrante nelle precedenti ma non per questo meno diffuse delle altre. Esempi sono la paura di soffocare, la paura nei confronti di rumori forti, per le bambole o le maschere.
A queste potremmo aggiungere quelle incluse nel DSM V, dettate dai cambiamenti socio-culturali, quali l’emetofobia, ovvero la paura di vomitare o ad assistere qualcun altro che rimette, e la nomofobia: la paura di non avere con sé il cellulare e quindi di rimanere escluso dalla rete di comunicazione mobile.
Oltre allo stimolo fobico, le fobie specifiche sono classificate sulla base della loro età di esordio e la comorbilità con altre patologie.
Infine, secondo i criteri diagnostici del DSM, i sintomi non devono essere meglio giustificati da un altro disturbo mentale.
E’ quindi necessario svolgere una buona diagnosi differenziale, soprattutto con disturbi che sembrano condividere con la fobia specifica alcuni aspetti.
Particolare attenzione viene infatti posta nel differenziare la fobia specifica da:
- disturbo di panico (questi ultimi soffrono ansia pervasiva, mentre nella fobia specifica l’ansia è circoscritta ad un oggetto o situazione specifica),
- fobia sociale (ove la fobia sociale si differenzia per l’oggetto della paura, il timore di dire o fare qualcosa di imbarazzante),
- ipocondria (rispetto al quale il paziente fobico teme di poter contrarre una patologia, mentre l’ipocondriaco teme di averla già nel proprio organismo),
- disturbo ossessivo compulsivo
- disturbo post traumatico da stress.
Nel complesso la differenziazione tra disturbi si basa sul numero di situazioni evitate, la pervasività o l’intercorrenza dell’ansia nutrita, l’oggetto della paura e l’intensità dell’ansia stessa.
Psicoterapia per la fobia specifica
La terapia che ha riscontrato maggior efficacia per la fobia sociale è la psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Il 90% dei pazienti con fobia specifica trattati con la tecnica dell’esposizione ha risolto il disturbo.
Tale tecnica mira a ridurre il fattore di mantenimento principale del disturbo: l’evitamento.
Il paziente viene quindi invitato ad esporsi a ciò che teme, si confronta con lo stimolo fobico imparando a gestire le sensazioni ansiose anche, ove necessario, attraverso tecniche di rilassamento, sino a quando l’ansia si riduce e l’oggetto della paura perde di questa connotazione.
Lo psicoterapeuta si può avvalere di diverse forme di tecniche espositive, adottando quella più idonea per lo specifico paziente.
Tra queste vi sono infatti:
- l’esposizione immaginativa, quando il paziente non si sente pronto ad affrontare direttamente lo stimolo fobico o quando non è possibile farlo a livello pratico (ad esempio per fobie situazionali come la paura del temporale)
- l’esposizione in vivo (direttamente con l’oggetto di paura)
- l’esposizione graduale in cui si procede per passi da maggior a minor vicinanza all’oggetto temuto. Man mano che il paziente vive livelli di ansia ridotti innanzi allo stimolo fobico, si procede gradualmente ad aumentare la vicinanza con il medesimo.
- la desensibilizzazione sistemica, per cui si allena il paziente a reagire in modo differente quando innanzi all’oggetto o alla situazione temuta.
A queste si affiancano tecniche di rilassamento o di respiro lento, nonché tecniche di ristrutturazione cognitiva legata alle idee di pericolosità ed impossibilità di allontanarsi dall’oggetto o situazione temuta.
Per quanto concerne l’avvalersi di una terapia farmacologica, gli studi dimostrano non siano necessari, essendo di per sé l’esposizione sufficiente a raggiungere ottimi risultati.
Rimane il fatto che in alcuni casi possa essere utile un trattamento combinato al farmaco, soprattutto in casi di fobia situazionale, come la paura dei voli aerei, o quando il paziente non ha modo di evitare lo stimolo fobico prima di intraprendere un percorso psicoterapico o durante le fasi iniziali di una terapia, ove farmaci come la fluoxetina o benzodiazepine, si sono rivelate utili.